Fotografia cinematografica

Articolo a cura di Alessandro Marangon


La fotografia di un film è un argomento piuttosto complesso ed eterogeneo. Parlando a grandi linee, senza entrare nello specifico, riguarda inquadrature, gestione delle luci, scelta del formato, obiettivi, composizioni di scena, palette colore, messa a fuoco, profondità di campo, post-produzione…

E inoltre altrettanti aspetti con  figure specialistiche coinvolte, non da ultimo il ruolo del regista determinante in alcune scelte.

La fotografia è sicuramente uno degli elementi chiave della settima arte.
Si mette al servizio del film e della storia che racconta, aiutandola a rendere al meglio attraverso la composizione delle inquadrature, l’uso dei colori, la scelta degli obiettivi, i movimenti della camera, le gestione delle luci.

Ma la domanda è: che cos’è la fotografia nel cinema?
Per molti appassionati, resta un’incognita e in molti casi si fa confusione sul suo significato.

Per iniziare, si può dire che:

La fotografia non è nient’altro che il posizionamento della luce sul set, tutto il processo artistico e tecnico attraverso il quale viene realizzata la registrazione delle immagini di un film

Ne consegue che saper posizionare le luci, conoscere bene le varie tecniche, avere un approccio artistico, contribuisce ad avere una buona fotografia cinematografica. Non è quindi improvvisata, né tanto meno trovata per caso.

Al contrario, richiede studio, esperienza, conoscenza e soprattutto consapevolezza.

Materialmente, cos’è la fotografia nel cinema? Di cosa si tratta?
Si tratta del campo in cui il direttore della fotografia svolge il suo ruolo.
Il Director of photography è colui che illumina la scena, stabilendone la provenienza, la qualità, l’intensità e la gradazione cromatica della luce. E’ l’autore della luce del film, ma contribuisce, col regista, alla scelta dei movimenti di macchina e dei tagli dell’inquadratura, e in generale tutte le scelte tecnico-espressive che influenzano l’illuminazione.

La giusta illuminazione, l’atmosfera, il mood viene scelto partendo dalla sceneggiatura, senza modificarne il senso, consultandosi costantemente con il regista del film.

Dietro la macchina da presa, ovviamente, c’è l’operatore alla macchina (cameraman): guarda nel mirino e realizza i movimenti “leggeri” quali panoramica o le zoomate, o regge la macchina da presa nelle riprese a mano. E’ il principale collaboratore del direttore della fotografia e del regista. In Italia, fino agli anni quaranta, con operatore si indicava l’attuale direttore della fotografia che, di solito, svolgeva entrambi i compiti.

Nello stesso reparto, c’è anche il fotografo di scena che documenta fotograficamente le riprese, solitamente dallo stesso punto di vista della macchina da presa e con le luci del direttore della fotografia.

La tecnica cinematografica, ha inoltre alcune regole imprescindibili.

Inquadratura

Una regola non-scritta del Cinema che sottolinea come una azione possa essere ripresa dal regista in migliaia di modi diversi, ma solo una di queste è quella giusta.

Come la tela di un pittore, l’inquadratura deve essere riempita, scegliendo con cura che cosa inserire all’interno e cosa, inevitabilmente, lasciare fuori.
Non solo, bisogna decidere anche come inquadrare i soggetti o l’ambientazione che si è deciso di inserire

Perchè ogni modalità è diversa e ogni scelta comporta anche un differente significato che viene dato all’inquadratura.

Diventa quindi fondamentale, per il regista, scegliere come “comporre” le singole inquadrature in base a quello che vuole essere il significato dell’intera scena. Le inquadrature da un punto di vista spaziale vengono suddivise attraverso due scale, quella dei piani utilizzata per le figure umane e quella dei campi con la quale si suddividono le inquadrature in base all’ambiente.

La scala dei piani e quella dei campi, meritano di essere approfondite e fatte proprie. Solo per citarle, la scala dei campi si suddivide in:

  • Campo Lunghissimo (C.L.L.): è la più ampia porzione di ambiente possibile.
  • Campo Lungo (C.L.): la porzione di location catturata comincia a restringersi, ma l’ambiente fa ancora da padrone
  • Campo Totale (Tot. Oppure C.T.): cominciamo ad avvicinarci sempre di più al personaggio, ma non è ancora lui il protagonista della nostra inquadratura.

Mentre la scala dei piani si suddivide in:

  • Figura Intera (F.I.): a questo punto concentriamo l’attenzione sul nostro personaggio. Facile intuire che la figura è intera.
  • Piano Americano (P.A.): è una ripresa che parte dalle ginocchia fin sopra la testa.
  • Piano Medio (P.M.) o Mezza Figura (M.F.): I personaggi sono inquadrati dalla vita in su.
  • Mezzo Busto (M.B.): è una variante del Piano Medio nella quale il taglio avviene pressappoco all’altezza del petto.
  • Primo Piano (P.P.): non vi è nient’altro che interessa di più se non le espressioni del volto del protagonista.
  • Primissimo Piano (P.P.P.): L’inquadratura include totalmente il volto del personaggio, dalla fronte al mento.
  • Dettaglio (Dett.) e particolare (Part.): Questi due tagli di inquadratura sono i più stretti possibili e hanno lo scopo di concentrare tutta l’attenzione dello spettatore su un piccolo dettaglio del corpo del protagonista (in questo caso lo sguardo) o su un oggetto dell’ambiente (nel secondo esempio, la canna di una pistola). Generalmente il termine Particolare viene utilizzato per la figura umana, mentre Dettaglio per gli oggetti.

I diversi tagli, le diverse inquadrature, servono per avvicinare lo spettatore al soggetto durante il racconto.

Modalità di inquadratura

Generalmente la maggior parte delle inquadrature viene realizzata posizionando la macchina da presa ad altezza del volto del protagonista e parallela al suolo. Questo perché è la visuale naturale con la quale noi, generalmente, osserviamo il mondo che ci circonda.
Questo ovviamente non è l’unico modo possibile.

Esistono altri modi tra cui:

  • Altezza: La macchina da presa può essere posizionata più in alto o più in basso rispetto al soggetto da inquadrare e dovrà quindi, rispettivamente, puntare l’obiettivo verso il basso o verso l’alto.
  • Angolazione: La macchina da presa, sempre perpendicolare al terreno, può essere posizionata, rispetto al soggetto, in modo frontale, tre quarti (inquadrando i 3/4 del volto), di quinta (inquadrando la nuca del soggetto), laterale.
  • Inclinazione: prevede un movimento della cinepresa sull’asse ottico dell’obiettivo. Questa forma di rotazione crea una immagine irreale, nella naturale visione del mondo a cui siamo abituati. La sua “stranezza” la riempie di significato e il suo utilizzo è legato unicamente a motivazioni simboliche/soggettive.

Ognuna delle varianti che vedremo, vanno però usate con moderazione e soprattutto devono avere un significato ben preciso e una motivazione forte, perchè per via della loro “particolarità” e “innaturalezza” vengono mal percepite dallo spettatore

Obiettivi

La scelta degli obiettivi non è assolutamente un qualcosa di così ovvio come si potrebbe pensare. Il grandangolo ‘allontana’ e amplia l’angolo di ripresa, distorce le cose più vicine, aumenta la profondità di campo (nel senso della messa a fuoco) e la profondità di scena. Al contrario il teleobiettivo ‘avvicina’ e riduce l’angolo di ripresa, riduce la profondità di campo e appiattisce la scena. Ognuno di questi aspetti è più o meno pronunciato in base alla focale degli obiettivi, all’angolo di ripresa e alla vicinanza con i soggetti. Le variabili quindi sono molteplici e la scelta complessa.

Punti di interesse

Un tema importante relativo all’inquadratura (direi oggi il principale) è sapere come “lavora” l’occhio umano quando guarda una immagine.

Non basta infatti scegliere che parte del personaggio o dell’ambiente inserire nel nostro rettangolo di immagine, ne capire per quanto tempo mantenercelo, ma è importante anche decidere in quale angolo collocare il soggetto.

L’occhio umano infatti è attirato da determinati elementi e tende, nel breve periodo in cui l’immagine è sullo schermo, a concentrarsi su quelle porzioni dello schermo che rispondono ad alcuni requisiti e a lasciar perdere il resto. Inoltre una giusta composizione rende l’inquadratura più piacevole e di più facile comprensione.

Che cosa attira i nostri occhi?

Sostanzialmente 4 cose:

  • La luce: Un uso sapiente delle luci, la direzione, le ombre, il contrasto
  • Il colore: il loro significato, l’accoppiamento giusto, l’emotività che esprimono
  • Il movimento: non solo nella direzione, ma anche dalle linee, dalla simmetria, dalla scena
  • Il vuoto: creato dal buio, dal controluce, dalla silhouette

La luce

Nel cinema, una luce ben studiata può creare immagini immortali in cui il dialogo sarebbe superfluo.

Le luci e le ombre vengono usate spesso per dichiarare l’umore o addirittura l’indole del soggetto.
Molto chiare e luminose per esaltare una parte serena e positiva del soggetto. Molto scure, contrastate con giochi di luci ed ombre per esaltare l’indole oscura del soggetto. Di seguito alcuni esempi:

Un interno di Barry Lyndon. Evidenti le citazioni – luminose e compositive – della pittura settecentesca.

Un uso sapiente della luce (unito ad alcune soluzioni tecniche più uniche che rare) hanno permesso a Kubrick, insieme al direttore della fotografia John Alcott, di riuscire a girare in condizioni talmente pittoriche ed estreme da suscitare incredulità.

Marlon Brando in The Godfather di Francis Ford Coppola. Direzione della fotografia di Gordon Willis

Il gioco di luci e ombre, permettono di intuire nel soggetto, un lato oscuro e tenebroso, lasciando presagire il ruolo del personaggio all’interno del film.
L’uso della luce funziona appunto anche per raccontare la tendenza dei protagonisti. Una luce molto chiara serve per un soggetto positivo, o comunque in un momento dove il racconto parla di un momento sereno o gioioso dell’umore del soggetto o di una parte del film.
Un uso di luci molto contrastata o comunque con una presenza di ombre, viene associata ad un soggetto cupo, ad una trama o un momento della storia sinistro, o al morale del soggetto molto negativo.

Luci e ombre di Gregg Toland in Quarto potere.

La scelta di questo tipo di luci, serviva per esaltare al massimo l’impatto del suo confronto impari con uno dei più potenti magnati del capitalismo americano. Più in generale, il controluce, dove i dettagli del soggetto non sono ben definiti, serve proprio per dare forza, impatto, risalto al contrasto o scontro presente nella trama. E’ spesso usato anche per imprimere un effetto estremamente drammatico.

Estratto dal bellissimo Citizen Kane di Orson Welles

Le luci e le ombre ci spingono a una duplice lettura della scena. Il reporter si è appena recato al Vault per svelare il mistero di Kane. L’ombra e le scure silhouette sono il mistero, il buio in cui si muove l’ ‘investigatore’ e anche lo spettatore, che per tutto il film lo seguirà da dietro ascoltando le storie dei vari personaggi interrogati. La luce in scena racconta più delle parole. Si tratta di una metafora visiva, la conoscenza che squarcia le tenebre ed illumina la verità (o presunta tale) contenuta nel fascicolo di Kane.

Il colore

Nel cinema, come nell’arte, le cromie non sono mai scelte a caso, questo perché aiuta il regista a raccontare un messaggio e a rafforzarlo. Ogni colore infatti ha qualcosa da dire.

Kandisky diceva che il colore si muove su due livelli. Il livello fisico e quello spirituale.

Il livello fisico è l’impatto sulla retina e sulla corteccia occipitale.
il colore caldo e luminoso colpisce l’occhio, attrae lo sguardo. Questo, secondo Kandisky crea un movimento centrifugo che attrae l’osservatore all’interno della scena Il colore freddo invece spegne la vista. Tende ad avere un movimento centripeto.

Poi ipotizzava un livello spirituale. Ad ogni colore si associa un concetto.
Per esempio, il rosso al sangue, alla violenza ma anche all’Amore. O il giallo, per esempio, alla follia.

Kandisky spiegava come accostando colori complementari si andava a creare contrasto, dinamismo, una sorta di bilanciamento, di attrazione inconscia.

Questo contrasto diventa armonioso e crea un equilibrio della scena.
Ovviamente il messaggio dei colori è implicito. Arricchisce la scena.
L’accostare colori con tonalità completamente diverse e opposte, come colori caldi e colori freddi, il cinema lo ha ereditato dalla pittura. E’ funzionale soprattutto perché valori opposti e complementari (come il blu e giallo) hanno anche valore simbolico. Il blu per esprimere un lato triste e solitario, mentre giallo (tendente al rosso), rappresenta parvenze di felicità.

Le luci fluorescenti, con dominanti verdi, danno un senso “non confortevole”, mentre quelle calde danno un senso confortevole alla scena.

Grand Budapest Hotel” di Wes Anderson

La scelta dei colori, soprattutto quelli complementari, la saturazione, i punti di vista, la simmetria delle inquadrature e i movimenti di macchina rendono Grand Budapest Hotel e i film di Wes Anderson personali e immediatamente riconoscibili per uno stile unico.

“Enemy” di Denis Villenueve

Un frame di Enemy, dove il chiaroscuro e il colore giallo definiscono ed enfatizzano le caratteristiche del film. Denis Villeneuve è tra quei registi in circolazione che dedicano molta attenzione alla fotografia, avvalendosi di collaboratori di lusso come Roger Deakins nel caso di Blade Runner 2049 e Sicario.

 “Il favoloso mondo di Ameliè”

Un ottimo esempio dell’uso dei colori complementari, evidenziando un conflitto sia interno che esterno.

“Arancia meccanica” di Stanley Kubrick

In questa scena c’è un dramma e tensione: Alex torna a casa dopo tanto tempo ma scopre di essere stato rimpiazzato. Osservando il frame notiamo un bel “contrasto incrociato” tra colori caldi e freddi: pareti, vestiti, blu su rosso, rosso su blu… Il contrasto tra colori rende dinamica e drammatica la scena ma allo stesso tempo bilancia ed equilibra la composizione del fotogramma.

“Star Wars: il risveglio della forza” – George Lucas

Nel fotogramma di Star Wars: Il risveglio della forza il contrasto tra colori caldi e freddi è visivamente piacevole (livello fisico descritto da Kandinsky) e rimanda  all’eterna lotta tra bene e male…

“Joker” – Todd Phillips

Il contrasto, i colori, la bassa profondità di campo sono caratteristici della fotografia cinematografica. Nel digitale inoltre, vengono applicate delle Lut specifiche. Nel film Joker per esempio è stato creato un Lut che simula la pellicola Kodak 5293.

Simmetria e prospettiva

La simmetria è un concetto affascinante, per secoli ha fatto da guida alle composizioni di artisti di tutto il mondo. A ben guardare il concetto di due parti identiche fra loro è molto naturale e come tale è sempre stato usato nell’arte fin dai primordi. La causa del dilagare della simmetria è da rintracciare proprio nel nostro corpo, più o meno simile se diviso a metà da una linea. Quest’idea di composizione è stata poi spostata ad altre discipline affini alla pittura, come l’architettura che l’ha portata a fondamento della disciplina, la scultura, la danza, la fotografia e il cinema. Fra i registi più sensibili al simmetrico dobbiamo inserire le perfette inquadrature di Wes Anderson che a prescindere dai vari film firmati ha un’ossessione per il centro della composizione che riempie con personaggi o oggetti che si stagliano su sfondi simmetrici e dove gli stessi primi piani degli attori ricalcano le due metà perfette.

I suoi sono film studiati nei minimi dettagli ed il suo stile di regia è di una precisione unica. Wes Anderson è letteralmente ossessionato dalla simmetria, ma a differenza di Kubrick non fa grande uso della prospettiva.
Quest’ultimo, aggiungendo profondità alla simmetria, si può definire il padre di uno stile chiamato “one point perspective”, dove si parte da un punto centrale e tutto il resto è perfettamente (e “prospetticamente”) simmetrico.

“2001: Odissea nello spazio” – Stanley Kubrick

In questa scena, i due astronauti (ai lati in modo speculare e simmetrico) si rendono conto che il Robot ha architettato tutto. Il soggetto della scena, fulcro del messaggio, è appunto il robot, che in questo caso è posto esattamente al centro, con addirittura la scenografia che gli fa da cornice per esaltarne la forza.

Wes Anderson

L’armonia, la geometria, la pulizia dell’immagine sono segni distintivi di un regista (da alcuni definito “pop”) che si ama o si odia.

Le sue influenze? Truffaut, Huston, Ashby e… Kubrick.

“Simmetria” – Michele di Rienzo

Attraverso il dialogo con un dottore, Ludovico rivive i momenti chiave della sua vita nel tentativo di separare la realtà dalle proiezioni della sua testa.

Un altro esempio della perfetta simmetria di Stanley Kubrick. Qui si può notare perfettamente, rispetto a Wes Anderson, l’uso sapiente della profondità e prospettiva.

Conclusioni

Esplorando il cinema, non si può arrivare ad un’unica conclusione:
è palese quanto questo, in origine, sia nato dalla fotografia e quanto possa essere definito “cinema di carta”, in quanto un rapido scorrere di immagini.
E’ altresì innegabile che oggi, la fotografia è fortemente influenzata dal cinema, da cui trae ispirazione.

Il binomio Cinema – Fotografia è indissolubile e al tempo stesso, in continua evoluzione.

Facendo Cinema o Fotografia, oggi non si può inventare nulla. Si può però prendere ispirazione e raccontare con metodi esistenti da sempre, una propria visione.

Prendo spunto da un’affermazione di Quentin Tarantino.

Il regista, nonostante sia stato più volte accusato di copiare stili altrui, mai si è vantato di esserne l’autore o inventore di quelli adottati. Anzi, in modo un po’ provocatorio, ha più volte citato Picasso: “I grandi artisti non copiano, rubano“.


Fonti e approfondimenti: